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:::>>> Divagazioni.…Riflessioni e Risonanze sul libro di John Bowlby ”Una Base sicura” > di Gabriella D’Amore Costa

Tutti noi, dalla nascita alla morte siamo al massimo della felicità
quando la nostra vita è organizzata come una serie di escursioni,
lunghe o brevi, dalla base sicura fornita dalle nostre figure di attaccamento”
(John Bowlby)

“Vieni a giocare con me “ dice il Piccolo Principe alla volpe”. Ed ecco che la volpe dice qualcosa di sorprendente: “Non posso giocare con te (…) non sono addomesticata”, ma il Piccolo Principe ne vuole sapere di più e chiede: “Che cosa vuol dire addomesticare?” e la volpe sapientemente risponde “vuol dire creare dei legami (…) io no sono che per te una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo ed io sarò per te unica al mondo”.
Ecco questo brano tratto dal Piccolo Principe, letto molti anni fa e riletto da poco, spiega per me molto bene tutto il senso del libro di Bowlby “Una Base Sicura”: l’attaccamento si sviluppa come una interazione tra un bambino unico ed i suoi genitori unici e uno degli aspetti più affascinanti del genere umano è proprio quello di creare legami unici. Anche il Piccolo Principe fa questa esperienza con la volpe, l’addomestica, creando un legame e poi essa gli svela un segreto “l’essenziale è invisibile agli occhi”. I legami che gli esseri umani creano vanno al di là del puramente visibile, diventano pensieri, significati e schemi mentali. La necessità del cucciolo d’uomo di creare legami di attaccamento nasce dall’istinto di sopravvivenza, ci dice Bowlby, ma poi tale istinto si trasforma in qualcosa di ben più complesso e accade così, che la madre, il padre o il “caregiver” diventano unici e cominciano ad esistere nella nostra mente sotto forma di pensieri e modelli.
La tendenza alla formazione di forti legami con alcune persone è considerata normale e funzionale fin dai primi mesi di vita, per Bowlby, e il fatto che il bisogno iniziale sia quello della sicurezza, può aiutare a comprendere meglio il dolore e la sofferenza legate al senso di perdita emergenti anche nell’adulto abbandonato. Inoltre il riconoscere da subito quel legame con la figura di attaccamento privilegiato rispetto agli altri è la conferma che sin dai primi mesi di vita il nostro principale obiettivo è quello di assicurarci di non essere soli (“nessun uomo è un’ isola (..)” diceva un grande poeta…), e oltre al cibo per andare avanti nella vita abbiamo bisogno di garanzie e certezze che ci vengono assicurate solo se abbiamo la possibilità di sperimentare che quello che ci accade intorno ha una continuità.
Se la figura di attaccamento è percepita dal bambino “sufficientemente” vicina, sintonica, capace di risposte sensibili, quest’ultimo sente sicurezza, amore e fiducia in se stesso; se, al contrario, la figura di attaccamento non è percepita sufficientemente presente il bambino prova paura e senso di abbandono e se queste esperienze sono continuative e prolungate nel tempo, nel bambino possono emergere dei comportamenti sintomatici come ambivalenza, rabbia, diffidenza, difficoltà a fidarsi ed affidarsi.
L’affidabilità e le capacità di risposta dell’ambiente di sostegno formano il nucleo dei pattern di attaccamento emergenti mente il bambino comincia il processo di separazione/individuazione, sottoforma di conquista evolutiva, e tra madre e bambino si stabilisce un processo di interazione sentito come un reciproco conoscersi l’un l’altro.
La volpe dice al Piccolo Principe: “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterò la mia felicità. Quando saranno le quattro, comincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità. Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore (…) ci vogliono i riti”. Ecco che il Piccolo Principe si guadagna la fiducia della volpe, andandola a trovare tutti i pomeriggi stabilendo un rito. Sembra che la volpe sappia come si crei un legame di attaccamento sicuro: la madre assicura sempre la sua presenza e il bambino si abitua a questo rito.
E’ proprio il ripetersi di questo modello di interazione che fa sì che il bambino cominci a crearsi delle aspettative. Si aspetta proprio che quella determinata persona appaia in quel determinato spazio e in quel determinato tempo, ed è il continuo verificarsi di tale rito che gli assicura che esiste lui, esiste l’altro, esiste la relazione.
Il legame di attaccamento che si stabilirà fornirà un modello per le relazioni future e per tale motivo le nostre relazioni risentiranno di quella matrice interattiva denso per noi di tanti significati.
Con un attaccamento sicuro il bambino immagazzinerà un modello operativo interno di persona sensibile, amorosa, affidabile, meritevole di amore e attenzione. Con un attaccamento insicuro il bambino vedrà il mondo come pericoloso, le persone da trattare con precauzione e senza potersi fidare troppo e si considererà poco meritevole di affetto, dando l’avvio a tutta quella serie di costruzioni mentali che lo porteranno a difendersi dietro cumuli di “certezze irrazionali” che andranno ad intaccare la fioritura del suo Sé.
Un'altra grande scoperta che ho fatto leggendo questo libro è che il legame di attaccamento non è limitato all’infanzia ma dura “dalla culla alla tomba” e tutto quello che veniva classificato, in maniera quasi dispregiativa e sicuramente patologica, con il termine “dipendenza” è in realtà un desiderio assolutamente legittimo di ogni essere umano di stare quanto più vicino possibile a chi si vuole bene, a chi in caso di bisogno può prendersi cura di noi.
Ricordo la frustrazione di quando mi veniva detto : “Comportati da bambina grande (avrò avuto circa otto anni), non fare la piagnona, dai l’esempio a tua sorella più piccola, mamma esce, tu ora vai a letto, con voi rimane la cameriera (che io detestavo e di cui avevo anche un po’ paura…) è notte…. Si deve dormire!...” In quei momenti il mio cuore si induriva ed il mio “rito” era quello di pizzicarmi forte il braccio cosicché non pensavo alla paura ma a quanto avrei sopportato il bruciore del pizzico, punendomi nello stesso tempo per non essere così buona  e bella da meritarmi le attenzioni di mamma.
Ora, questo fa solo parte di una serie di ricordi di episodi lontani che hanno però segnato dolorosamente la mia vita per oltre trenta anni e che mi hanno portata a pensare a mia madre come ad un mostro che aveva un potere immenso su di me finchè un giorno guardandola mi sono accorta che in realtà era solo una persona fragile che aveva cercato di cavarsela come poteva, anche lei vittima di poche carezze e sorrisi.
“Una Base Sicura” è stata una scoperta, mi ha insegnato che c’è sempre tempo per trovare “una base sicura”, chiedere protezione ed affidarsi non è un sintomo di debolezza ma riconoscere che facciamo parte di un Tutto e che questo Tutto è più delle singole parti.

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