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:::>>>“Il Counseling. Nella relazione d’aiuto” Stephen Murgatroyd di Lucilla Loddi

 

Varie sono le forme d’aiuto, che l’autore considera in qualità di processo, che è possibile sperimentare anche nella vita di tutti i giorni, egli ne individua sette tipologie: dare informazioni; azione diretta d’aiuto; insegnamento; aiuto nel cambiamento di sistemi organizzativi; difesa; fornire verifiche di ritorno e agevolazioni.
Ciò rende evidente che tutte queste modalità d’aiuto hanno un campo d’azione estremamente vasto, sia come modalità e varietà di circostanze, sia come interazione tra due o più individui e come intenzionalità e strategie d’intervento.
Per il Counseling aiutare è qualcosa che rende la gente capace di cambiare e gestire meglio la propria vita.
Secondo lo psicologo John Heron ci sono sei principali strategie d’aiuto che raggruppate formano due principali stili di aiuto:

  1. lo stile prescrittivo (tendenzialmente più direttivo verso l’azione specifica)
  2. lo stile facilitativo o sviluppante (tendente all’incoraggiamento, all’espressione delle emozioni e all’autorealizzazione

Affinché una facilitazione porti i suoi frutti è necessario considerare la motivazione della persona in bisogno, in quanti e quali contesti ha già chiesto aiuto e fare una valutazione accurata se egli è in grado di fornire l’aiuto adeguato o se è necessario un invio ad una persona di maggiore competenza nel settore richiesto.
Specifica inoltre che ci sono tre generi di facilitazione: individuale, famigliare o comunitario e che ovviamente richiedono operatività, strategie e motivazioni differenti tra loro, che vanno attentamente valutate.
Accoglie le tre qualità che, secondo Carl Rogers, sono necessarie e sufficienti nella relazione di Counseling, da parte dell’agevolatore, cioè empatiaaccettazione incondizionata (apprezzare e rispettare le persone per la loro individualità) eautenticità (genuinità che, quando utile al cliente e valutata in base alla forza dell’io del cliente, può giungere anche all’autorivelazione).
Per empatia s’intende saper entrare nei panni dell’altro, senza mai perdere l’attenzione sul “come se”, comprendere e verificare se ciò che avete sperimentato corrisponde al vissuto del cliente, attraverso quella che viene definita la riflessione del contenuto e delle emozioni sottostanti.
Alle tre condizioni centrali che Roger propone, Robert Carkhuff identifica altri tre tratti fondamentali: concretezza, specificità, aver cura che quanto espresso abbia lo stesso significato per entrambe; immediatezza, considerare la situazione momentanea; confronto, evidenziare le differenze tra come la persona vede se stessa e come viene vista dall’agevolatore, ovviamente in modo sostenitivo.
Barbara Berzon si è occupata di approfondire le caratteristiche della facilitazione più apprezzate dalla persona in bisogno:

  1. l’aumento della consapevolezza dovuta all’incoraggiamento all’autocomprensione
  2. riconoscere la similarità con gli altri e abbattimento dell’isolamento
  3. condizioni di ipseità, comprensione, accettazione, genuinità
  4. la percezione di sé attraverso gli altri
  5. espressività
  6. calore autentico, di qualcuno che non sia calato in un ruolo
  7. confronto

La persona in bisogno inoltre cerca e predilige determinate qualità nel facilitatore, spesso vi è quella della “coincidenza del genere”, cioè si predilige un facilitatore dello stesso sesso, subito dopo devono avere fiducia nella competenza e nella chiarezza del contratto, utile a stabilire i limiti della facilitazione. Altra qualità fondamentale in termini di aspettativa del cliente è ilcomportamento etico del professionista, soprattutto in relazione alla riservatezza. Spesso la persona in bisogno si aspetta anche che, una volta comunicate le proprie difficoltà, l’agevolatore si assuma tutto il lavoro, quando in realtà dovrebbe essere il contrario, é molto importante che il counselor ponga attenzione a questo tipo di dinamiche ed essere cosciente degli effetti che esse possono apportare nella relazione.
Gran parte del lavoro di counseling consiste nell’agevolare l’autosostegno ed individuare strategie per fronteggiaresituazioni dolorose o di disagio, in questo ci vengono in aiuto due psicologi americani Pearlin e Shooler, i quali hanno esaminato statisticamente le migliori strategie nel fronteggiare:

  1. cercare di cambiare la situazione attraverso il compromesso tra i propri bisogni e quelli altrui, il confronto e aggiunta di un nuovo tratto nelle risorse personali
  2. ridefinire il significato razionalizzando l’esperienza, valutandone l’aspetto positivo, comparazione con gli altri
  3. controllando l’angoscia attraverso il rilassamento, cercando l’aspetto positivo e la fiducia nell’aspetto lenitivo del tempo

Murgatroyd individua inoltre alcuni doveri del Counselor nel fronteggiare mutuando un modello di sette livelli elaborato da Schwartz:

  1. aiutare la persona a far fronte alla crisi
  2. frammentazione della crisi per renderla più maneggevole
  3. promuovere l’obiettività
  4. evitare false rassicurazioni
  5. scoraggiare la proiezione
  6. incoraggiare la creazione della rete sociale
  7. insegnare capacità di fronteggiamento, addestramento al potenziamento dell’efficacia personale

Un intero capitolo viene dedicato Addestramento all’Integrazione Sociale, Social Skills Training, differenziandolo in tre generi:

  1. SST riparatori, sviluppare ed estendere il bagaglio di comportamenti sociali
  2. SST per lo sviluppo, lavoro sul rendere più appropriate ed efficaci le potenzialità
  3. SST specializzato, forma di sviluppo professionale

Gli obiettivi di un agevolatore nel SST sono: aiutare la persona in bisogno a sviluppare ed esercitarsi all’integrazione sociale, dopo attenta valutazione, fornire un feedback utile a sviluppare le potenzialità ed insegnare capacità adeguate, con tecniche rispondenti, da riutilizzare nella vita reale.
In questo senso Michael Argyle ha sviluppato otto moduli di attività mirati ad intensificare la comunicazione interpersonale e il fronteggiare:

  1. capacità di osservazione, ottenere informazioni, chiarire il comportamento altrui, auto-osservazione, riconoscimento delle emozioni, differenziazione tra affermazione e azione.
  2. Capacità di ascolto, riflessione sulle sensazioni, valutazioni sul proprio umore anche in relazione ad altri, ascolto e feedback
  3. Capacità di parlare, informazioni, rivelazione di sensazioni, fluidità e congruenza nel non verbale, chiarezza nell’espressione
  4. Capacità di compatibilità, opportunità negli interventi, basarsi sul comportamento altrui
  5. Espressione di attitudini, deliberata differenziazione dagli altri in modo di influenzarli delicatamente
  6. Abitudini sociali, saluti, richeste incoraggiamento, complimenti, simpatia, scuse, assertività
  7. Strategie e tattiche, premiare, controllare, presentarsi in ottima luce

Naturalmente un programma di SST deve essere plasmabile e flessibile in relazione al contesto, persona e gruppo, poiché è il programma che si costruisce intorno alle persone, non il contrario.
Per questo è molto importante che le persone abbiano ben capito cosa stanno per affrontare, questo è possibile solo attraverso una esaustiva spiegazione e promozione di sensazioni di sicurezza da parte dell’agevolatore, bisogna valutare attentamente che le attività proposte siano adeguate al livello di capacità ed alle differenze individuali degli utenti e quanto viene proposto in veste di drammatizzazione, adeguata e rilevante, deve rispecchiare e rapportarsi coerentemente alla vita reale e fornire costantemente un feedback.
Un esempio base di SST è dato dal programma di immunizzazione allo stress di Donald Meichenbaum, in cui viene insegnato alla persona come pensare, in modo che il pensiero modifichi il comportamento e quindi la risposta allo stress, attuandosi in tre fasi:

  1. osservazione e valutazione di come la persona risponde allo stress
  2. insegnamento di tecniche di fronteggiamento, dando enfasi ai processi mentali
  3. pratica graduata verso il nuovo modello e nuove risposte comportamentali

Tutto ciò promuovendo la pratica dell’auto-raccontarsi, espediente utile a interrompere il normale flusso di pensieri e guidare il comportamento di risposta più adeguato.

Albert Ellis propone due modalità di valutazione di se stessi: uno caratterizzato da certezze razionali e uno da certezze irrazionali, il primo riguarda espressioni e desideri che riguardano i propri bisogni e la loro realizzazione, il secondo si manifesta con espressioni doveristiche e imperative. Non soddisfacendo i propri bisogni, le persone con certezze razionali sperimentano un dispiacere contenuto, quelle invece che hanno uno stile irrazionale vengono spesso soverchiate da disagi psichici. Sono caratteristici dello stile razionale la tolleranza all’ambiguità, capacità di autocorreggersi, l’essere flessibili, il tenere conto delle proprie responsabilità, la capacità di accettare verifiche di ritorno anche non positive. Al contrario, scarsa flessibilità e tolleranza per l’ambiguità, scarsa considerazione delle proprie responsabilità, pessimismo dovuto alla rara soddisfazione dei bisogni, non accettazione delle critiche, contraddistinguono lo stile irrazionale.
Ellis suggerisce come sia importante capire che è esattamente il modo di pensare rispetto agli eventi e la reazione personale a essi che provoca angoscia. Capendo questo si può portare la persona in bisogno a valutare il legame che esiste tra il modo di pensare e le conseguenze di eventi critici.
Lo scopo dell’agevolatore è promuovere il pensare razionale.

L’agevolazione e la facilitazione oltre all’intervento relativo alla sfera sociale a volte il compito dell’agevolatore riguarda direttamente il lavoro sulle sensazioni e emozioni. Questo tipo di relazione d’aiuto è alla base dell’Agevolazione Gestaltica. Le emozioni sono al centro della relazione d’aiuto quando la persona non discrimina le proprie sensazioni o agisce senza tenerne conto, quando le emozioni non vengono riconosciute o non gestirte, quando vengono trascurate per paura delle critiche ambientali. La finalità diviene rendere maggiormente consapevole la persona delle proprie emozioni e sviluppare la capacità di gestirle.
Un concetto molto importante è quello del “qui ed ora”: non c’è attenzione sul passato, la consapevolezza delle proprie emozioni deve agire nel presente, nel momento attuale e queste devono essere frutto di esperienze dirette fatte all’interno della relazione d’aiuto. Questo perché la parte di noi, cognitiva e razionale, che media e controlla i ricordi, fa in modo che le emozioni portate alla luce siano quelle più tollerabili, o quelle meno dolorose, che però sono molto probabilmente il fulcro del disagio. 
Il Counselor deve cercare di non dare spiegazioni, di non interpretare, i comportamenti e le emozioni del cliente. Il cliente sarà artefice del cambiamento, va soltanto aiutato verso l’autoesplorazione e la consapevolezza, ponendo l’attenzione sul piano fenomenologico. Verbalizzare le emozioni, dare a queste un nome, permette di riconoscerle e consapevolizzarle: “io sento…, io voglio…”
Tecniche: sedia vuota; amplificazione; il capovolgimento o la recitazione; l’uso dei sogni.

L’agevolatore deve fare attenzione oltre che a quel che dice il cliente, anche a come lo dice, come lo dice il suo corpo, a stati d’animo diversi corrispondono posture e atteggiamenti corporei diversi, il corpo può essere usato come indicatore dell’emotività della persona e di come si manifesta. Quasi sempre le persone che cercano aiuto non sono consapevoli né del legame esistente tra corpo ed emozioni né del modo in cui il proprio corpo esprime le emozioni. E’ molto utile anche il rispecchiamento corporeo. Indicazioni fisiche di un disagio sono: incapacità a rilassare una tensione (fisica o psichica); desiderio di reprimere conflitti interni; inibire l’espressione di pensieri e emozioni indesiderate; sviluppare sintomi fisici per ricevere attenzione; livelli di stress intollerabili.
Anche il corpo stesso può essere fonte di problemi o disagi psicologici. Esempi di questo tipo di problemi possono essere: anoressia o bulimia, incapacità di perdere peso, assunzione di sostanze dannose (alcool, fumo, droghe, farmaci, ecc.), forti dolori fisici. Il facilitatore deve saper distinguere tra chi presenta tratti di sé come indicatori di un bisogno psicologico e chi, nonostante presenti bisogni psicologici, ha un problema fisico molto significativo; in questo genere di casi l’agevolatore dovrà trattare entrambi gli aspetti, quello fisico e psicologico. In questi casi è indispensabile una collaborazione con il medico generico di riferimento.
L’uso del corpo come metodo di agevolazione implicando un contatto fisico va però programmato e accettato dal cliente. 
Metodologia molto usata è l’addestramento al rilassamento che consiste nel praticare alcuni precisi esercizi di rilassamento di parti sia frazionato che complessivo, cercando di istruire il cliente fino a renderlo autonomo nella pratica e autoindurre in tempi brevi uno stato di calma in seguito ad eventi stressanti.
La meditazione come agisce come il rilassamento, é distinta in passiva e dinamica: nel primo caso lo scopo è imparare a focalizzare l’attenzione su un pensiero, un’idea, un’immagine mentale capace di escludere tutti gli altri pensieri, anche quelli stressanti, nel secondo caso lo scopo è lo stesso ma la fase “concentrativa” è preceduta da una intensa attività di movimento e di danza, il tutto in genere accompagnato dalla musica.
Il massaggio è un’ottima tecnica psicocorporea ma molto sul confine dell’etica a causa di un rilevante contatto fisico da parte dell’agevolatore con la finalità volta di rilassare il corpo e mente. 
Anche nel massaggio è importante il setting per essere efficace, l’ambiente dovrà essere riscaldato, e dovranno essere utilizzati oli lubrificanti, persuadendo il cliente al rilassamento, evitando di perdere il contatto fisico e quindi la fluidità.

 

Anche il Counselor ha dei  bisogni e non vanno sottovalutati, perché è importante essere consapevoli delle conseguenze del processo di relazione. Ciò che avviene.
Le aspettative della persona in bisogno sono molto alte, mentre é normale che l’agevolatore, essendo una persona, abbia dei limiti. Ma egli deve averne una chiara, per questo è utile che tenga un diario delle esperienze delle sedute da cui ricavare i punti di forza e le debolezze espresse, i momenti positivi e quelli negativi.
Anche avere un incontro regolare con un altro agevolatore in modo da esplorare quel che accede durante la relazione, o ancora registrare su nastro o video le sedute, sono utili strumenti.
Il Counselor può scoprire limiti relativi non solo a lui stesso ma anche all’organizzazione e alla struttura in cui opera, in questo caso egli può decidere se intervenire direttamente sull’organizzazione o sulla struttura oppure sviluppare egli stesso un progetto di cambiamento per ridurre i disagi
Anche l’aggiornamento professionale è uno strumento indispensabile di identificazione e superamento dei propri limiti., oltre che all’impulso alla crescita dell’agevolatore sia come persona., sia come professionista.
La supervisione è una forma di sostegno tra professionisti, in cui gruppi di terapeuti o agevolatori si incontrano periodicamente e regolarmente per condividere aspetti e problematiche riguardanti la facilitazione. Si tratta di uno scambio reciproco, quindi di mutuo aiuto, in cui si offrono e si ricevono quei feedback necessari per l’identificazione dei propri limiti ma anche delle proprio peculiarità.
E’ facile “bruciarsi” quando per un lungo periodo di tempo, l’agevolatore si sente estremamente stanco, insoddisfatto, senza entusiasmo e ciò influisce in modo estremamente negativo sul suo lavoro divenendo inefficace. G. Corey individua nove cause, da considerare al fine di prevenire questa sindrome: stile di agevolazione ripetitivo; eccessivo investimento emozionale e di energia personale; eccessiva pressione dovuta a aspettative di risultati non realistiche (tempi); lavoro con gruppi e persone molto resistenti al cambiamento o per i quali le possibilità di cambiamento sono molto limitate; mancanza di sostegno e abbondanza di criticismo da parte di colleghi; mancanza di fiducia dei dirigenti delle organizzazioni nelle quali si effettua il lavoro di agevolazione; mancanza di opportunità per sviluppare nuovi approcci e nuovi modelli; scarse opportunità di aggiornamento professionale, supervisione e sostegno; conflitti personali non risolti.
E’ importante quindi programmare supervisione, sostegno e aggiornamento, evitare carichi di lavoro eccessivi, l’organizzazione quotidiana del lavoro che sia definita e che lasci spazi per se stessi, coltivare i propri hobbies e non permettere che il lavoro invada la propria esistenza. Murgatroyd inoltre elenca delle considerazioni che è bene tenere a mente e ricordare soprattutto nei momenti difficili:

  1. non si può fare più del proprio meglio;
  2. essere ansiosi circa il proprio lavoro è normale; non si può essere perfetti;
  3. isultati istantanei sono impossibili;
  4. non si riuscirà con tutti.

L’agevolazione in molte occasioni viene effettuata anche a livello di gruppo. Il lavoro in gruppo può vertere su un argomento specifico (assertività, sessualità, lavoro, ecc) o essere meno specifico e volto alla crescita personale dei partecipanti; possono avere lo scopo fornire e scambiare informazioni, oppure di indirizzare verso un cambiamento o, ancora, di fornire un sostegno specifico.
Un gruppo si differenzia a seconda degli obiettivi e il conduttore dovrà porre molta cura nel definirli e chiarirli. Il lavoro di gruppo può essere utile per:

  1. la comprensione e il rispetto degli altri;
  2. lo sviluppo delle capacità di integrazione sociale;
  3. la condivisione di esperienze;
  4. trarre beneficio dalle reazioni degli altri ad argomenti che riguardano anche noi stessi.

Il gruppo inoltre può essere per molti una preparazione ad un lavoro individuale. 
E’ importante che il conduttore conosca bene quali siano le motivazioni dei componenti nella partecipazione al gruppo poiché ciò determinerà lo stile di lavoro del gruppo stesso, quindi, nel formare un gruppo l’agevolatore deve rispondere a una serie di domande:

  1. Quale è il motivo? Quali obiettivi? Quali problemi potranno sorgere? Come valutare i progressi?

 e chiarire a se stessi la propria filosofia di conduzione:

  1. Come affronto l’operare del gruppo? Come considero i vari apporti personali? Quale è il mio ruolo, direttivo, sostenitivo, facilitatore?

Il Counselor nella conduzione deve prima di tutto creare un clima di fiducia, le condizioni necessarie: empatia, genuinità, calore, ecc. queste devono riguardare il gruppo globalmente e i componenti come singoli. Oltre al giusto clima il conduttore dovrà cercare di evitare quei problemi nella conduzione:

  1. avere scopi di cui il gruppo non è a conoscenza;
  2. dirigere eccessivamente il gruppo con scarsa sensibilità ai suoi bisogni;
  3. attribuire troppa importanza alla drammaticità delle sedute;
  4. riservare troppo tempo all’esplorazione e alla spiegazione delle proprie sensazioni;
  5. offrire eccessive interpretazioni su ciò che accade;
  6. mancanza di spontaneità nel gestire eventi inattesi.

Un altro aspetto importante è la tutela dei componenti del gruppo, sia sul piano fisico che su quello psicologico ed emotivo dagli altri; il conduttore deve essere in grado di valutare il livello di stress dei singoli, stabilire limiti sicuri per il benessere nel gruppo e  intervenire quando una persona rischia di oltrepassarli.
Questa capacità di controllo viene dall’esperienza diretta nel partecipare attivamente in gruppi prima di condurne uno.
Ci sono caratteristiche comuni nello sviluppo dei gruppi, questo si può considerare in fasi:

  1. il girarci intorno, i componenti sono riluttanti a scoprirsi e a lasciarsi coinvolgere, la risposta migliore è mostrare accettazione verso tale difficoltà;
  2. il descrivere il passato, i partecipanti tendono a evitare le emozioni del presente perché meno controllabili e raccontare le sensazioni passate;
  3. reazioni negative, cioè l’espressione di sensazioni e pensieri negativi sia verso se stessi che verso il lavoro del gruppo;
  4. la rivelazione, dopo la fase di negatività i partecipanti si liberano e si dirigono verso l’autorivelazione, l’accettazione, le verifiche di ritorno costruttive e il confronto e il supporto con gli altri ed è realizzabile l’autocambiamento.

Ma lo sviluppo non è uguale per tutti i gruppi, sia nella struttura che nei tempi, ogni gruppo ha il suo e un conduttore deve saper valutarlo.

Ma come ci sono generalità nello sviluppo nei gruppi si osservano problemi ricorrenti che possono essere presi come modello:

  1. membri del gruppo silenziosi, in genere questo problema è risolto dal gruppo stesso;
  2. membri monopolizzatori, il problema può essere affrontato dal conduttore o lasciare che sia il gruppo stesso a risolverlo;
  3. membri narratori (o egocentrici), proporre aneddoti che il gruppo non ritiene importanti o appropriarsi di storie offerte da altri membri: “è successo anche a me”, questo problema deve essere affrontato dal conduttore;
  4. membri che “spingono” un partecipante interviene su un lavoro di un altro membro interrogandolo e spingendolo a rivelarsi eccessivamente, il conduttore dovrebbe portare il gruppo alla riflessione su tale procedimento;
  5. fornire consigli ad altri membri e limitare così l’autonomia di questi, il conduttore può fare in modo che sia il destinatario ad accettare o meno il consiglio;
  6. benda di soccorso prestare aiuto a un altro membro anche se questo non l’ha chiesto;
  7. ostilità tra membri del gruppo, il conduttore deve intervenire se non è il gruppo stesso a fornire una soluzione;
  8. dipendenza del gruppo nei confronti del conduttore;
  9. intellettualizzazione eccessiva delle esperienze e delle emozioni.

L’agevolazione attraverso le reti
Quasi tutte le persone fanno riferimento per i propri bisogni ad una rete sociale di persone che forniscono il loro sostegno, sono strutture informali come la famiglia, gli amici, l’ambiente di lavoro, gruppi di interessi comuni, ecc. e formali servizi sociali, servizio sanitario, medico, agevolatori professionisti, ecc., quando invece una persona si rivolge ad un agevolatore, spesso è scollegata da una sua rete o la sua rete non è adeguata al suo problema. 
L’agevolatore dovrà comprendere il valore in termini quantitativi e qualitativi, della rete di sostegno della persona che ha di fronte e fare in modo di connetterlo meglio ad essa, incoraggiando a vedere la rete come risorsa e insegnando le abilità sociali per sfruttare al meglio le relazioni. Un ulteriore obiettivo può essere quello di ridurre la dipendenza dal livello formale della rete e considerare sempre più quello informale quale fonte più incisiva d’aiuto.
Anche per l’agevolatore professionale essere collegato ad una rete, soprattutto formale come ad es. altri agevolatori, servizi ospedalieri, scuole, associazioni, ecc. è fondamentale per il personale autosostegno, ma anche per la possibilità di sfruttare ulteriori risorse per il servizio da offrire al cliente.

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Lucilla Loddi:  Art Counselor e Counselor Trainer riconosciuta presso la SIAF, Agevolatore nella relazione di aiuto, con Diploma Internazionale EAC conseguito presso la Scuola Superiore di Formazione in Counseling Espressivo e Arte-terapia, DanceCounseling e DanzaMovimentoTerapia A.S.P.I.C di Roma. Iscritta al CNCP (Coordinamento Nazionale Counselor Professionali).

Lucilla Loddi alias BugZ Ha esposto in Italia ed all’estero i suoi lavori di arte digitale e interattiva attraverso performances insieme al pubblico.

Pratica Raja Yoga sin dall'adolescenza e insegna dal 1994, studiando presso varie scuole e maestri, in Italia, India e Nepal.

Collabora con il Comune di Roma come insegnante, in passato anche presso l'Istituto di Neuropsichiatria Infantile in Via dei Sabelli Roma, e attualmente realizza laboratori di Arte, Danza-Movimento e Yoga per bambini diversamente abili.

Ha strutturato nel tempo avvalendosi delle competenze acquisite nelle diverse esperienze un percorso esperenziale, individuale e di gruppo, che utilizza arte, movimento e meditazione concentrata sui centri energetici della psicofisiologia indiana, volto al riequilibrio bioenergetico, allo sviluppo interiore e al benessere psicofisico definito NataRaja Yoga oYogaDanza.

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