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:::>>>  COUNSELOR : CONOSCI TE STESSO  di Caterina Bonfiglio

 

“nel cammino della vita non facciamo che  incontrare
sempre di nuovo noi stessi, sotto mille travestimenti”
C.G.Jung

L'esortazione "conosci te stesso" era il motto greco iscritto sul tempio dell'Oracolo di Delfi. L'insegnamento socratico ben riassume il fine di ricercare la verità dentro di sé anziché nel mondo delle apparenze. Ma il motto rimanda anche, a mio parere, a quello che può essere considerato la forma originaria, del metodo della “sospensione del giudizio”. 
In questo senso penso che possiamo interpretare ancora oggi il senso di questa frase come un incoraggiamento a sperimentare continuamente la nostra esistenza, raggiunta la consapevolezza che nessuna cosa del mondo esterno e di noi è classificabile come verità assoluta, monolitica  e immutabile. Mi fa riflettere poi sull’ opportunità di mantenere il più possibile attivo dentro di noi l'interesse per una conoscenza diretta e viva del mondo, suscettibile di trasformazione, e sempre in grado di sorprenderci e metterci  in gioco. 
Ma troppo spesso siamo più portati ad assumere atteggiamenti fatalisti nei confronti della nostra esistenza, a trovare colpevoli od ostacoli insormontabili al nostro benessere. 
Più portati ad evitare di far chiarezza dentro di noi piuttosto che aprirci alla possibilità di comprendere come funziona il nostro sé; come conosce, ri-conosce e ci dispone all’azione, e al nostro mondo affettivo. Sottovalutando che capire questo funzionamento significa potersi liberare da pregiudizi e condizionamenti culturali, poter conoscere senza filtri la realtà, esercitare la propria consapevolezza ed eventualmente disporsi al cambiamento.

Ecco perché prendo a prestito questa esortazione, perché al di là della sua asciutta essenzialità da sola mi pare capace di concentrare in sé tutta una serie di informazioni difficili da trascurare come quando attraverso il processo di Counseling ci si appresta a diventare strumento di quanti vogliono proprio far chiarezza sulla natura della loro relazione con se stessi e con il mondo.

Il Counseling, infatti, è una professione relativamente nuova, e nel contempo incredibilmente complessa e delicata in quanto ha a che fare con il dato umano, con la materia dei sentimenti e dei vissuti emotivi più profondi. E le cose si complicano quando si entra in contatto con la sofferenza altrui, quando si vanno a esplorare aree traumatiche, frustrazioni precoci, paure reali e immaginarie. 
Spesso, come Counselor,  ci si trova allora a dover fronteggiare  le esperienze dolorose dell’altro, i suoi motivi d’angoscia, le sue inquietudini. In risposta a questo chi voglia svolgere al meglio con sensibilità ed impegno la sua professione è chiamato ad interrogarsi costantemente sulla qualità del proprio lavoro, aggiornare modi nuovi o alternativi di sviluppare le proprie attitudini di agevolatore, verificare la consapevolezza di poter essere sempre un bon sostegno per l’altro.

Tutto questo presuppone che il professionista conosca prima di tutto molto bene se stesso e non soltanto approcci teorici e aspetti tecnici della sua professione. Significa essere in grado di ri-conoscere e ri-contattare quello che sempre di fronte alla relazione nuova con l’altro in sé prende forma: immagini, fantasie, emozioni, sensazioni. 
Conoscere se stessi vuol dire per esempio capire come condurre la persona in bisogno verso quella “alleanza terapeutica” che gli permetterà di favorire l’auto-analisi e far luce sui suoi problemi.
Sarò sufficientemente empatico? Saprò accogliere la persona in bisogno con rispetto, calore e senza pregiudizi? Saprò comprendere la sua precisa richiesta di aiuto? 
In definitiva interrogarsi su:“Come posso osare di più senza mettere a rischio coloro che sto cercando di aiutare?”

Queste che possono sembrare preoccupazioni sono in realtà interrogativi che consentono al Counselor di calarsi nella realtà viva del rapporto terapeutico, determinando positivamente gli esiti stessi della sua relazione con il cliente. 
Talvolta la professione di agevolatore può essere fortemente stressogena, ma spesso le esperienze umane che si è chiamati a fronteggiare possono rivelarsi importanti momenti di vitalità, crescita personale oltre che professionale. In nessun altro ambito lavorativo come in quello della Relazione d’Aiuto personalità e comportamento del professionista hanno così tanta importanza. 
Bisogna allora prima di tutto essere consapevoli come Counselor delle proprie risorse e dei propri limiti. Puntare prima di ogni altra cosa a prendere coscienza di eventuali problemi personali, se ve ne sono, che potrebbero influenzare negativamente la relazione terapeutica. 
Essere consapevoli di quali emozioni, argomenti, situazioni possono metterci a disagio. Verificare se l’essere esposti a emozioni e sentimenti molto intensi (rabbia, paura, dolore, passioni…,) possano procurare frustrazione, imbarazzo, sofferenza, oppure far rivivere analogie problematiche e non risolte con la propria esistenza. 
Elementi tutti che, magari inconsapevolmente, potrebbero condurre l’agevolatore ad assumere atteggiamenti evitanti e inefficaci nella relazione terapeutica.

Conoscere se stessi vuol dire allora imparare a gestire le proprie emozioni davanti a quelle del cliente, e non andare in confluenza con le sue. 
Rapportarsi in maniera adeguata ai sentimenti che il cliente stesso può nutrire nei confronti del suo Counselor ed eventualmente lavorare con essi all’interno del processo stesso di Counseling. Imparare, cioè, a gestire la potenza chiarificatrice del transfert/contro-transfert. 
Non ultimo imparare ad accettare che i cambiamenti del cliente possono essere lenti e alle volte rari. Sostenerlo e capire quali possono essere gli esiti sufficientemente accettabili di tale cambiamento,  rispecchiare e valorizzare il più possibile i suoi successi. 
Fare questo vuol dire “sentire” quanto possiamo essere tolleranti e delicati nel toccare certi temi o vissuti particolari. Essere consapevoli di quanta capacità di ascolto e comprensione possiamo avere nei confronti del nostro cliente, magari anche quando egli è aggressivo e provocatorio nei nostri confronti. Quanto possiamo sforzarci di rispettare le sue difese. Saper accettare e affrontare anche qualche frustrazione o sconfitta.
 
Un counselor, infatti, non è un “salvatore”, ha egli stesso pulsioni e sentimenti che deve essere in grado però di saper governare, attraverso il raggiungimento di una maggior auto-consapevolezza di sé e del suo lavoro, accettando anche i propri errori, e i propri limiti, non evitando di esporsi al confronto e alle critiche costruttive. 
In genere un buon Counselor non è colui che risolve i problemi degli altri, ma un professionista esperto nella relazione d’aiuto. Può limitarsi ad aiutare il suo cliente ad imparare da solo a gestire e risolvere i suoi problemi, e non risolverli al suo posto. 
Ma la differenza tra salvatore e agevolatore è anche un’altra e serve a comprendere quali sono i limiti umani e professionali di questo lavoro.
Il professionista della relazione d’aiuto non è chiamato a trovare la soluzione al problema altrui, ma è chiamato a sostenere l’altro nel recuperare ed esercitare al meglio le proprie capacità creative personali per comprendere e valutare in maniera appropriata azioni presenti e passate e assumere decisioni opportune riguardo al suo futuro. 
Il tentativo è quello di ricondurre l’individuo in bisogno a se stesso, potenziare la sua motivazione a mettersi in auto-ascolto per attivare quelle energie interiori che lo conducano in tutta autonomia a porsi di fronte alla vita con un atteggiamento nuovo e diverso rispetto al passato: attivo, propositivo, costruttivo.

Nel bagaglio del saper fare di un Counselor acquisito con la formazione c’è sicuramente una sua teoria personale del counseling (un modello teorico-pratico personale cui ispirarsi) che sarà in grado di praticare con l’obiettivo di identificare modelli di interazione che agevolino nell’altro la consapevolezza e il benessere psicofisico; mettano in discussione schemi improduttivi di agire; rafforzino comportamenti e livelli di comprensione alternativi.  
Con il tempo potrà poi anche fare affidamento sull’esperienza, ma in nessun caso potrà mai fare a meno, quando necessaria, di una supervisione competente a cui fare riferimento e di “un lavoro su se stesso” (un proprio percorso di auto-ascolto,elementi cardine di un Training di formazione adeguato cui il professionista è chiamato a sottoporsi per raggiungere una crescita personale matura e consapevole, potenziare al meglio il processo stesso di Counseling e le strategie più opportune da attivare per essere sempre nella maniera più opportuna di sostegno al proprio cliente.

Essere aperti alla supervisione, e a un lavoro su se stessi continui, dunque, rappresentano più di un addestramento, o di una consultazione. Ricordano il processo stesso del Counseling, specialmente quando si vanno ad esplorare problemi personali del supervisionato emersi nella relazione d’aiuto. 
Alle volte, soprattutto all’inizio della professione ci possono essere momenti critici. Per esempio dubbi sul dovere di informare, sui diritti del cliente, sulle procedure e le tecniche migliori da utilizzare per agevolarlo. Tutte cose queste che rientrano nelleNORME ETICHE DELLA PROFESSIONE che un Counselor deve conoscere e su cui può sempre aggiornarsi facendo riferimento alle organizzazioni professionali d’appartenenza e ai loro statuti. 
Ma altre volte i momenti di empasse sono ancora più delicati, possono riguardare il contro-transfert del professionista, i suoi sentimenti, contraddizioni e ambivalenze, le sue difficoltà relazionali con il cliente. 
Con questa duplice opzione sempre aperta si possono approfondire allora continuamente l’auto-esplorazione e l’aggiornamento, caratteristiche fondamentali di una professione che per raggiungere ed aiutare l’altro, fare un lavoro di qualità e farci crescere come individui e come terapeuti, ha bisogno di mettere sempre in gioco se stessi in un equilibrio non statico ma dinamico, e sempre rispondente a situazioni e problemi oggettivi cui rispondere.

 

BIBLIOGRAFIA:

Scott T. Meier, Susan R. DavisGUIDA AL COUNSELING. In 58 regole fondamentali cosa fare e non fare per costruire un buon rapporto d’aiuto, Franco Angeli, Milano, 2005

S. MurgatroydIL COUNSELING Nella relazione d’aiuto, Ed. Sovera, Roma, 2000

G. MarinoGESTALT COUNSELING. Fasi di un momento terapeutico individuale e in gruppo, Quaderni A.S.P.I.C, Roma, 1992

C.G.Jung, Psicologia della traslazione, in Opere, Pratica della psicoterapia, vol. 16, Boringhieri, Torino, 1981

C. Rogers, La terapia centrata sul cliente, Psyco Editore, 1994

 

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